“Appoggia
i suoni al diaframma, appoggia i suoni in maschera, appoggia il suono al
petto…”queste frasi, e molte altre sono
ben conosciute a chi si dedica allo studio del canto. In effetti l’appoggio è
un concetto fondamentale poiché questo meccanismo è quello che permette alle
potenzialità vocali di emergere e stabilizzarsi, facendo maturare la voce e
rendendola qualitativamente ricca. Anche per quanto riguarda il concetto di
appoggio le scuole di pensiero sono molte e spesso in contrasto, generando caos
in chi, non avendo risultati, passa da un libro ad un altro, da un insegnante
all’altro. In questa sede spero di rendere la mia idea di appoggio più chiara
possibile, mi si perdonino le espressioni forse “troppo alla mano” e poco
tecniche, potrei mettermi a scrivere di ogni muscolo che entra in azione, ma
tradirei le mie intenzioni iniziali. Meglio la semplicità…
Cosa è l’appoggio?
Il passo successivo a quello
dell’inspirazione e del sostegno consiste nell’apprendere il meccanismo
dell’appoggio dei suoni. Appoggiare
significa imparare a coordinare il delicato equilibrio che si viene a
creare durante il canto tra i muscoli
del torace e del dorso e i muscoli addominali. In altri termini, che preferisco usare, vuole
dire essere in grado di dosare il fiato, di regolarne l’uscita, evitando che il torace si svuoti e si sgonfi subito
(attraverso il controllo delle ultime costole laterali che dovrebbero rimanere
aperte e con l’aiuto dei muscoli addominali che rientrano, rimanendo tonici).
Bisogna imparare a fare economia di fiato, a mandarlo fuori in maniera
graduale, affinché i suoni non vengano di riflesso spinti bruscamente fuori ma
risultino ampi e profondi mantenendo la
sensazione di ampiezza e profondità ottenuta con l’inspirazione. E’ in questa
fase che il suono impara a costruirsi ed arricchirsi, è nell’acquisizione e
nell’allenamento dell’appoggio che il suono si modella gradatamente e si
delinea nella sua natura spontanea e non artefatta.
In parole povere, come si effettua
l’appoggio?
Durante la fase dell’appoggio
vocale la nostra preoccupazione e la nostra attenzione dovranno essere quella
di mantenere le ultime costole aperte il più possibile, in poche parole mantenere la base del torace ampia e allargata
(alcuni teorici parlano di cantare mantenendo lo stato inspiratorio). E’
necessario dunque attivare i muscoli del dorso pensando alla dimensione della
larghezza. Il diaframma alla fine della respirazione diaframmatica-costale
laterale è tirato come la pelle di un tamburo e questo stato deve essere
mantenuto durante tutta la fonazione, mentre i muscoli addominali si
contraggono e sostengono sempre il diaframma e l’aria in uscita. Tutto qui, in
poche parole questo significa cantare di diaframma o cantare appoggiando i
suoni al diaframma come alcuni insegnanti preferiscono dire. L’appoggio si può
pensare anche come l’unione e la risoluzione logica delle sensazioni ottenute
con l’inspirazione (laterale costale) con quelle del sostegno muscolare (ad
opera degli addominali). Se all’inspirazione abbiamo associato un movimento
orizzontale e al sostegno un movimento verticale dal basso verso l’alto, nel
dinamismo dell’appoggio si manterrà contemporaneamente l’orizzontalità e la
verticalità, cioè costole aperte e muscoli addominali attivi.
Pongo
l’attenzione su un dettaglio importante durante la fase dell’appoggio: il
movimento verticale dal basso verso l’alto del sostegno deve essere continuo e
deciso (non rigido), guai a mollare questo movimento poiché ne risentirebbe
tutto il processo vocale. Il sostegno può essere paragonato ad un vassoio che
dal basso verso l’alto sostiene il diaframma e i suoni, e tiene su il fiato.
Seguendo questa immagine se il vassoio cede casca tutto il contenuto, allo
stesso modo se la tenuta muscolare degli addominali cede, la voce cade in
gola,di questo ultimo aspetto ce ne occuperemo nel paragrafo seguente a
proposito del canto sul fiato. L’appoggio vocale è la parte della tecnica del
canto che richiede molto tempo, allenamento e pazienza poiché vanno coordinati
differenti muscoli
In gergo tecnico spesso
si sente parlare di “cantare sul fiato”, di “canto legato e morbido”,di
“cantare su un unico fiato”, “ cantare fuori”, “ cantare proiettato”, “cantare
in posizione”…cosa vogliono esprimere tutte queste frasi?Concetti
importantissimi che è necessario vengano spiegati e analizzati, in queste frasi
si nascondono suggerimenti molto utili al fine di trovare un suono spontaneo,
ricco di vibrazioni naturali, un suono libero e soprattutto pulito, fluido, limpido,
come lo scorrere di un ruscello.
Cosa molto importante
che si deve curare mentre iniziamo a fonare è quella di lasciare che l’aria sia
proiettata all’esterno e non trattenuta all’interno né frenata. Senza girarci troppo intorno con discorsoni, il
primo suono va sempre accompagnato con il fiato fuori da se, verso un punto
immaginario lontano. Mentre il primo suono scorre tranquillo verso la sua
strada, lo seguono anche gli altri suoni, sulla scia dello steso fiato che
porta il primo. Per questo si dice “cantare su un unico fiato”,“ accompagnare
tutti i suoni con lo stesso fiato” “ legare un suono nell’altro” etc…Una volta
inspirato e preparato il sostegno, la concentrazione va al fiato che deve
uscire con continuità, il fiato imbevuto di suono deve viaggiare sempre
costante e fluido verso un pubblico anche immaginario. E’ di aiuto non concentrarsi sui singoli suoni da emettere,
piuttosto servirsi dell’idea che ci sia un fiato unico e continuo su cui si
incamminano tutti i suoni. Se si pone attenzione sui singoli suoni il fiato si
spezza e il canto diventa “affettato” per usare un termine tecnico ricorrente. In
pratica si inspira aprendo bene le costole, si pre-appoggia tirando un po’ in
dentro gli addominali,e attraverso l’appoggio si canta il primo suono
pensandolo portato lontano e davanti a noi, come se dovesse raggiungere le
ultime file dei posti a sedere di un teatro. Una volta accompagnato con il
fiato il primo suono verso il fuori ( in termini tecnici si direbbe attaccare
il primo suono, ma lo trovo un termine aggressivo rispetto alla dolcezza del
canto) i suoni successivi vanno pensati
sullo stesso fiato del primo, come se “giocassero a rincorrere” il primo suono,
trasportati dallo stesso fiato. Quindi parola d’ordine lasciare sempre scorrere
fuori il fiato. Guai a trattenere l’aria il suono in bocca, magari nel
tentativo di farlo risuonare nel faringe o cercando di scurirlo o nell’impresa
di ricercare delle risonanze che lo rendano più grosso, gonfio, scuro e potente.
In tal modo la voce rimane chiusa in bocca e artefatta, le vibrazioni sono cupe,
il fiato viene spezzato. Nel tragitto del suono e del fiato non ci devono
essere scosse, o tentativi di utilizzare l’aria trattenendola, ma i suoni e il
fiato vanno pensati come un flusso continuo, come un vento che soffia
ininterrotto, proprio come se fossimo dei ventilatori. Mi viene in mente questo
simpatico paragone: essi non vanno ad intermittenza, l’aria circola continua
perché il motore funziona senza scosse. La stessa cosa avviene nel canto, il
motore della spontanea e continua.
voce è il lavoro dell’appoggio: come già affrontato lo sforzo e la
concentrazione devono essere tese al di mantenimento delle costole aperte e
all’ attivazione la muscolatura addominale che spinge l’aria in su e in fuori.
Proprio come accade ad un ventilatore anche l’aria sostenuta dall’appoggio deve
fluire.
Trasmetto altre immagini che potrebbero essere utili ad
“allenare il fiato” o “farsi il fiato”come si dice in termini tecnici:
-
pensare alla continuità
dei suoni come a dei fili di perle, legate l’una all’altra senza scatti come se
il secondo suono fosse una continuazione del primo e via dicendo;
-
immaginare di fare delle bolle di sapone: si soffia per
formare la prima bolla e per accompagnarla lontano da se, e sullo stesso fiato
si formano le altre bolle. Allora mentre proviamo a cantare per “allenare il
fiato” ad uscire, divertiamoci a immaginare che stiamo facendo delle bolle;
-
pensare allo starnuto:
il fiato esce continuo, come se stessimo starnutendo, divertiamoci a fare un
finto starnuto “sonoro”, provare con “ HHHNNNN” lasciando la “n” continua sullo
stesso fiato;
-
pensare ad un treno: il primo suono si mette in moto
sulla prima carrozza dove c’è l’autista, e gli altri suoni sono le carrozze passeggeri
attaccate, esse scorrono insieme alla prima carrozza e viaggiano sullo stesso
binario;
-
immaginare di essere una pentola a vapore che emette fiato con continuità ;
-
immaginare il fiato come un’onda del mare che scorre
continua, con un unico gesto
-
Immaginare una strada
piana e continua: il primo suono accompagnato dal fiato inizia a percorrere una
strada piana e ampia lontana,
situata davanti al viso e fuori da esso. Tutti i suoni che seguono continuano
ininterrotti sulla stessa strada e vanno lontano.
-
Ancora pensare al fiato come ad una ruota che continua
ad andare avanti
Alcuni Errori…
Un errore istintivo che spesso
fanno i principianti è quello di pensare ai singoli suoni come ad entità
autonome per cui il fiato si spezza e si perde la continuità. Alcuni insegnanti lo chiamano “cantare affettato”, cantare
spezzato. Ciò che manca e che si può acquisire è proprio il cantare sul primo fiato, su un
unico fiato, pensando non ai singoli suoni ma per paradosso solo al fiato che
esce. E’ importante per acquistare il legato e la morbidezza pensare di cantare
su un unico gesto del fiato: in alcuni casi ho trovato utile suggerire di
pensare a emettere il primo suono e pensare poi solo al fiato che esce
continuo, non pensare proprio di cantare
ma di essere un vento che soffia continuo.
Altri cantanti invece sono
viziati da tecniche che pretendono il
fiato e i suoni siano pensati dentro al corpo, alcuni chiedono addirittura di
pensare di mangiare il suono o di mandarlo giù in basso, di ingurgitare
aria…mhhh….che bei pranzetti vocali!Peccato che a lungo andare procurino
tremende “ulcere vocali”.... In tal modo il fiato viene frenato, il suono non
gioca libero fuori e lontano,ma si chiude dentro al corpo e si caricaturizza, travestendosi
di risonanze scure e artefatte, il suono è cupo, spento.
Il cantare fuori e su un unico
fiato dona al canto un che di estatico, oltre che essere piacevole e sonoro, il
suono si caratterizza per la cosiddetta punta del suono, per il classico
squillo, per il “campanellino” che si avverte in quelle voci educate in maniera
corretta. Chi canta utilizzando correttamente il fiato rimane intonato e ha una
dizione chiara e precisa. Sintetizzando si respira correttamente, si sostiene,
si appoggia e quando si inizia a fonare si pensa ad un fiato continuo,.
A questo punto fatta chiarezza
sulla respirazione, sostegno, appoggio e canto sul fiato, si può lavorare sui
particolari della voce, fare un lavoro di affinamento soprattutto legato alla
timbrica che varia da repertorio a repertorio e da genere a genere e qui è
necessario l’intervento di un buon maestro di canto. Le possibilità timbriche
della voce umana sono davvero moltissime, alcuni generi musicali richiedono una
voce piuttosto chiara, altri una voce più impostata nel senso di più voluminosa
e scura, altri particolari effetti come il rauco e il graffiato…queste
diversità si ottengono mantenendo stabili respirazione, sostegno e appoggio
variando invece l’apertura della bocca e modificando i risonatori buccali.
Complimenti, tutto molto chiaro. Soprattutto mi é piaciuto l'esempio con l'orizzontalità e la verticalità.
RispondiEliminaSalve Diego sono contento se i contenuti li ha trovati chiari. Le mando un cordiale saluto e se ha delle domande o dubbi sono a disposizione 👋
RispondiEliminaComplimenti, spiegazone chiarrisima. Un saluto!
RispondiEliminaGentile utente, ricevo con gioia i suoi complimenti e la ringrazio molto, sono lieto di sapere che l'articolo è per Lei utile.
EliminaLa saluto